AuroraHome PageRivolta Ideale


anno 1 * n° 1

PRESENTE E FUTURO

 

Questione emigranti: tutti nomadi nel Terzo Millennio

Libero Sila

 

L'emigrazione, dell’entità odierna e con le conseguenze che ne deriveranno nel prossimo futuro è certamente determinata dagli sconvolgimenti geopolitici seguiti al crollo dell'Unione Sovietica; è un fenomeno strutturale del globalismo. Bisogna quindi nutrire molta diffidenza circa soluzioni «tecniche» del problema e denunciare con la massima decisione la funzionalità agli interessi del globalismo di tutte le iniziative umanitarie «di accoglienza» anche quando animate dalla più cristallina sincerità. Sia detto ben chiaro sia ai cattolici che ai comunisti rifondazionisti dell’una e dell'altra «frazione».

I problemi scaturiti dagli attuali movimenti migratorii sono dappertutto gli stessi nei Paesi industrializzati, perché dipendono dalla rivoluzione post-industriale e dalla crisi della politica in quanto tale caratteristica del postcapitalismo-postcomunismo. Da noi non si manifestano ancora in tutta la loro complessità, perché li abbiamo conosciuti dopo che in Francia e Germania. Il modo con cui il Governo vi fa fronte, incerto e ipocrita in pretto stile gesuitico ma non «in ultima analisi» altrettanto efficace, lascia assai poco sperare per il futuro. Non solo, crediamo, per gli ostacoli oggettivi che all’azione governativa si frappongono essendo l’Italia una «terra di frontiera» e, in Europa, l’esempio più significativo di Paese «a sovranità limitata», doppiamente limitata dalla presenza invasiva di Stati Uniti e Vaticano. In realtà, quel che manca ai nostri governanti è la statura politica. Non sono capaci che di «barcamenarsi», «navigano sotto costa» e hanno paura persino di guardare il «mare aperto».

I problemi dell’emigrazione attuale li conosciamo fin troppo bene, e meglio li conosceremmo se non avessimo rimosso, con la tipica dimenticanza «parvenus» indotta da cinquant'anni di fittizio «benessere» economico, il ricordo di essere stati un Paese di emigranti, una terra di «naviganti» e una «nazione proletaria», come dissero due famosi figli di Romagna.

Ma questi problemi che si chiamano difficoltà a integrarsi, criminalità e xenofobia, si accompagnano a un problema, oggi, che non esisteva nell'Ottocento e fino agli anni Sessanta di questo secolo. L’emigrazione non era suscettibile di valenze politiche dirompenti perché l’anarchismo e il comunismo erano comunque espressioni della cultura occidentale, il loro antagonismo finiva per diventare un elemento di «razionalizzazione delle contraddizioni», soprattutto delle contraddizioni etniche. Oggi, invece, lo stesso non può dirsi per il fondamentalismo islamico perché l’islamismo è totalmente «altro» rispetto alla cultura occidentale. È evidente che il fondamentalismo è potenzialmente il principale nemico della globalizzazione nella misura in cui riuscirà a egemonizzare l’enorme massa degli emigrati. Il pericolo per l’Occidente, anche per quello che accetta «obtorto collo» la globalizzazione, è di sparire sommerso. La crisi demografica dell’Europa è un fatto, ma più ancora notevole è che l'Occidente potrebbe resistere opponendo la sua cultura, che però il globalismo sta finendo di distruggere. Al riguardo ci piacerebbe conoscere le «giustificazioni» del Ministro Berlinguer, che questa distruzione sta realizzando con «rigore programmatico» neo-stalinista ma al servizio del globalismo e del dogma della «privatizzazione».

L’altra non meno rimarchevole differenza fra l'emigrazione di un tempo e l’attuale, consiste nella inversione della direttrice del movimento migratorio, ieri dalla metropoli al territorio da colonizzare, oggi da questo a quella. Il globalismo ha cioè dato luogo a una terza fase del colonialismo e potremmo definire «post-colonialismo». Non si tratta di una mera inversione dei movimenti migratorii, ma di una globalizzazione dell'emigrazione, nel senso della formula «tutti emigranti in funzione della mobilità del lavoro in vista della finanziarizzazione del profitto». Di passata, ricordiamo come alla finanziarizzazione si colleghino fenomeni strettamente connessi all’emigrazione quali la prostituzione, il mercato della droga, e di una forza lavoro in condizioni di pratica schiavitù, che tende ad abbassare indefinitivamente il costo della manodopera, tal che il lavoratore della metropoli è pilotato tanto in direzione della xenofobia pseudo-fascista quanto di un odio per la propria terra, che lo spinge ad emigrare epperò per non più ritornare.

Sorprende, per non dire che indigna, il fatto che l'on. Violante -che dovrebbe essere «uomo di sinistra a tutta prova»-, abbia concluso la presentazione in televisione della sua ultima fatica letteraria, sentenziando in tono oracolare che «dobbiamo abituarci all’idea di non avere più il posto di lavoro sottocasa». Nel quadro che qui si è delineato, una simile osservazione che sembrerebbe dettata dalla riflessiva ponderatezza di un personaggio certo non sprovveduto culturalmente, acquista un significato inquietante, per non dire «sinistro».

Libero Sila

 

 

 

Articolo precedente

Articolo successivo